Uno sguardo verso l'assoluto

Nella precedente tappa abbiamo osservato come gli autori biblici dell'Antico Testamento usino descrivere le manifestazioni divine, comprese le “teofanie” più eclatanti, inserendole in un contesto particolare, parzialmente misterioso, che sta anche ad indicare come l'umana razionalità sia incapace di cogliere pienamente le manifestazioni del Dio trascendente.
Questa idea biblica si ricollega ad un concetto che abbiamo sfiorato mentre percorrevamo la tappa «Il “Sacro”, una definizione di partenza», e sul quale focalizziamo adesso l'attenzione, riconoscendone la presenza nelle principali religioni mondiali, oltre che nel pensiero filosofico:
Si tratta del concetto designato dal sostantivo assoluto (Dal lat. absolutus, “libero da qualsiasi vincolo”) che, in filosofia, indica “ciò che non ha dipendenza né limite, che ha in sé la ragione del proprio essere”.
L'ètimo del vocabolo “assoluto” induce a coglierne primariamente il significato apofatico indicante ciò che esso “non è”, vale a dire “non-relativo, in-condizionato, in-composto, in-forme, in-conoscibile”... mentre, dal lato “positivo”, l'assoluto va inteso come “unico, semplice, puro Essere, puro Sapere, Verità, Spirito” (M.Delahoutre, Grande Dizionario delle religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1990, p.150).
In quanto assolutamente privo di legami, dal punto di vista filosofico l'assoluto è anche impersonale laddove, invece, “un essere personale può essere solo in relazione con gli altri” (M.Delahoutre, op.cit., p.150)... ed è proprio questo il punto che determina una fondamentale differenziazione tra l'assoluto della filosofia e l'Assoluto della religione.
Occupandosi dell'Assoluto, le religioni lo riconoscono infatti come un Essere personale, che nella Bibbia ebraica è JHWH (Jahvè)... e, per esempio, nelle Upanisad* e nel Vedānta è chiamato Brahman.
“L'assoluto e Dio sono la stessa Realtà, poiché né le filosofie, né le religioni potrebbero ammettere un'altra realtà al di là di quella. Ma è una Realtà vista e sentita in modi diversi, in un caso alla fine della speculazione filosofica, nell'altro alla fine dell'adorazione” (M.Delahoutre, op.cit., p.150).

Gettando uno sguardo in particolare sul Brahman*, cioè sull'Assoluto così com'è designato nei Veda e nell'Induismo, esso è “l'immutabile ed eterno, la realtà suprema e non duale del Vedānta. Nella sua astrazione, l'idea di coscienza assoluta è inconcepibile razionalmente. Al minimo tentativo di concretizzazione, essa diventa Īśvara*. Il brahman è uno stato di trascendenza pura, non può quindi esser formulato né dal pensiero né dalla parola” (K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.57).
La manifestazione personale del Brahman è dunque Īśvara (che in sanscrito significa “signore [dell'universo]”, dalla radice verbale : “regnare”), e questo concetto... ovvero il fatto che l'Assoluto Brahman è Īśvara quando è collegato al mondo fenomenico ed è oggetto di adorazione e di venerazione... trova un ideale parallelismo nella tradizione biblica, dove torneremo nella prossima tappa:
Infatti, il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, l'Assoluto della Torah, JHWH... in concomitanza con l'era cristiana è adorato nel Giudaismo rabbinico come Adonai (Signore), il nome divino che nella lettura del Testo sacro sostituisce l'impronunciabile tetragramma sacro JHWH.

P.S. Vedi anche il post « Padre Nostro... e Brahman » (Nel mio blog "Diario di un monaco, discepolo di Swami Roberto")




Segue: « Questo è il mio nome per sempre » (Es 3,15)

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* Glossario:
- Brahman. Nell'Induismo il Brahman è l'assoluto, immutabile ed eterno, la realtà suprema e non duale del Vedānta. Nella sua astrazione, l'idea di coscienza assoluta è inconcepibile razionalmente. Al minimo tentativo di concretizzazione, essa diventa Īśvara. Il Brahman è uno stato di trascendenza pura, non può quindi esser formulato né dal pensiero né dalla parola. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.57)
- Īśvara (Termine sanscrito che significa “signore [dell'universo]” (dalla radice verbale iś: “regnare”) è spesso rappresentato come un Dio personale, creatore dell'universo. Brahman è Īśvara quando è collegato al mondo fenomenico ed è oggetto di adorazione e di venerazione. Secondo l'Advaitavedānta l'idea di Īśvara si rende necessaria a causa della limitata comprensione umana, che non può concepire la divinità se non sotto una forma; essa, tuttavia, è soltanto una manifestazione del Brahman. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.191)
- Upanisad. In sanscrito il termine Upanisad (upa: “vicino a”, ni: “in basso”, sad: “sedersi”), significa  “sedersi ai piedi del maestro per ascoltare i suoi insegnamenti”. Le Upanisad costituiscono l'ultima parte della śruti (Veda) e sono la base principale per le dottrine del Vedānta, insieme di speculazioni filosofiche che conclude i Veda. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.445)
- Veda. In sanscrito il termine Veda significa “sapienza”. I Veda costituiscono la rivelazione (śruti, letter. “audizione"). Secondo la tradizione hindū, infatti sarebbero stati redatti dai rsi (poeti ispirati, veggenti) in seguito a una rivelazione divina (o autorivelazione, secondo la tradizione più ortodossa) ottenuta durante uno stato di profonda meditazione. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.457)
- Vedānta. Il Vedānta (un termine che in sanscrito significa “fine dei Veda”) è costituito dalle considerazioni finali contenute nelle Upanisad. Questi testi contengono riflessioni relative al Brahman e all'Ātman. Bādarāyana li raggruppò nei Vedānta.  (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.457). Il Vedānta indica sia la letteratura delle Upanisad, che effettivamente chiude il Veda, sia il sistema o la scuola (Darśana) che si fonda sulle conclusioni tratte dalle Upanisad. (M.Delahoutre, Grande Dizionario delle religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1990, p.2226)