Una definizione di partenza...
Lo Spirito di Dio... quale “Porta” di dialogo
Lo Spirito Santo: Azione Divina nel mondo
Tra gli evangelisti è in particolare Giovanni a presentare lo Spirito Santo come il Paraclito, l'altro Inviato dal Padre (cfr. Gv 14,16; Gv 15,26) che successivamente alla Pasqua di Resurrezione di Cristo avrebbe dato seguito alla sua azione divina sulla Terra.
Questa effusione dello Spirito da parte di Dio Padre, attraverso il Cristo, è annunciata dal Risorto la sera del primo giorno dopo il sabato (cfr. Gv 20,19-23):
La biblica promessa dello Spirito
“Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni” (Gioele 3,1).
Questa biblica promessa dello Spirito, presentata come segno dell'era messianica, riecheggia anche nelle profezie annunciatrici della Nuova Alleanza (Ger 31,31ss; Ez 36,26) durante la quale, attraverso il dono del suo Spirito, Dio avrebbe dato ai membri del suo popolo un “cuore nuovo”.
Nella prospettiva cristiana... questa attesa espressa dal Primo Testamento trova compimento con l’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazareth, il vero Dio e vero uomo in cui confluiscono le due direttrici parallele sulle quali lo Spirito di Dio aveva “soffiato” il suo intervento nel corso della biblica storia della salvezza:
La concezione giovannea dello Spirito
Prendendo in esame i brani del quarto Vangelo nei quali la parola greca pneuma (spirito) viene riferita alla presenza di Dio, sono riconoscibili alcuni aspetti fondamentali:
L'effusione dello Spirito divino a quanti credono in Cristo, avviene a seguito di quella che nel linguaggio giovanneo viene definita la sua “glorificazione”, ovvero la sua elevazione sulla Croce seguita dalla sua Resurrezione (cf. Gv 7,39; 20,22).
Uno sguardo... alla visione paolina dello Spirito
Uno dei concetti cardine compare nella Lettera ai romani, dove si può leggere che “l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (5,5).
Lo Spirito Santo è qui presentato come un dono che è frutto della Grazia, cioè dell'Amore con il quale il Padre nostro, di sua iniziativa, ama l'essere umano... ed è dunque mediante lo Spirito Santo – ci dice Paolo - che il Padre nostro “riversa nei nostri cuori”, cioè nella nostra interiorità, il suo Amore salvifico.
Alcuni "tratti" neotestamentari dello Spirito
Biblicamente parlando, quando ci si riferisce allo “Spirito” divino si intende dunque una “forza” che promana da Dio e opera nel tempo della nostra storia umana.
Nella concezione specificamente cristiana, lo Spirito Santo è Dio stesso presente e operante in questa dimensione quale forza divina che sostiene il credente al fine di aiutarlo a percorrere la via della rettitudine e a porsi in piena comunione con Dio.
Uno sguardo sullo Spirito... dall'Antico al Nuovo Testamento
Già abbiamo rilevato in precedenza (vedi la tappa « Nel “vento” dello spirito ») che “spirito” è un termine suscettibile di diversi significati.
Nella concezione veterotestamentaria lo “Spirito” (in ebr. Rûah) divino è essenzialmente il “Soffio” proveniente da Dio che solleva e vivifica il corpo dell'essere umano e che, finché resta in lui, ne fa un “essere vivente” (in ebr. “nefesh”; cf. Gen 2,7).
La presenza di questa Forza divina si palesa nella respirazione dell'essere umano, tant'è vero che proprio il cessare del respiro “segnala” la morte della persona... in concomitanza con il ritorno a Dio del suo Spirito-rûah.
Gli autori del Nuovo Testamento attribuiscono all'espressione “Spirito di Dio” dei significati diversi...
Sulle "ali" dello Spirito
Nelle ultime tappe abbiamo osservato alcune sfaccettature del concetto religioso di benedizione, prendendo in considerazione sia le sue più antiche radici veterotestamentarie, sia i più recenti sviluppi teologici “sbocciati” nel Nuovo Testamento.
Nella peculiare prospettiva cristiana, la benedizione trae il fondamento teologico dalla mediazione di Grazia che è esercitata da Cristo, e che si manifesta nell’azione dello Spirito Santo.
Oltre ad essere il datore della Grazia, il Cristo ne è anche il Soggetto... e il credente che si pone in comunione con Lui, riceve da Lui la Grazia “insufflata” dallo Spirito di Dio (cf. Rm 5,5) che – ricorda per esempio Paolo di Tarso - è anche lo Spirito di Cristo (Rm 8,9), come abbiamo visto nella tappa “Uno sguardo rivolto alla concezione cristiana della grazia”.
La benedizione di ringraziamento
Mentre nel primo caso si tratta, in sostanza, di una preghiera di benedizione che “dice” in anticipo la Grazia divina, nella fiduciosa attesa che essa si manifesti nella vita della persona benedetta… nel secondo caso “benedire” significa esprimere la propria gratitudine di fronte alla Grazia divina che si è manifestata.
A tale riguardo, tra i numerosi passaggi dell’Antico Testamento basti pensare, solo per fare un esempio, alla preghiera di lode e ringraziamento che il salmista eleva a Dio dicendoGli “Benedici il Signore, anima mia!” (103,1.22; 104,1.35)… o anche “Benedetto il Signore, Dio d’Israele: egli solo compie meraviglie. E benedetto il suo nome glorioso per sempre: della sua gloria sia piena tutta la terra. Amen, amen” (Sal 72,18-19).
Un caso particolare di benedizione è costituito dal termine “benedetta/o” (in ebraico “barûk”) rivolto a colei e/o colui che sono riconosciuti come inviati di Dio, persone scelte dal Signore e nelle quali si rivela la sua Potenza e la sua Grazia.
Per esempio, Elisabetta si rivolge a Maria con le celebri parole “benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (Lc 1,42)… e durante l’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme, la folla lo acclama gridando “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Mc 11,9).
Umane benedizioni
Inoltre, anche al di fuori della prospettiva della fede... una benedizione “profana” può essere di fatto formulata da qualsiasi persona che esprima un augurio di bene e prosperità a favore di qualcuno.
La benedizione invocativa
In sostanza… la benedizione invocativa è una preghiera che assume il significato di “dire” in anticipo il “bene”, cioè il divino dono vivificante richiesto a Dio… confidando nell’esaudimento della petizione a Lui presentata.
Dono divino per eccellenza è evidentemente lo Spirito Santo, che si manifesta con i suoi frutti vitali, accordando rigenerazione e prosperità al credente che invoca la benedizione divina.
Tra i brani biblici che permettono di riflettere sul significato invocativo della benedizione, particolarmente emblematica è la celebre vicenda di Giacobbe, che lotta tutta la notte, corpo a corpo, con “un uomo” misterioso (che in realtà è Dio) rifiutandosi di darsi per vinto, fino al momento in cui… dopo aver riconosciuta la realtà soprannaturale di quell’ “uomo”… praticamente lo “forza” a concedergli la sua benedizione: “Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!” (Gen 32,27).
La Benedizione Divina
Nella concezione biblica, in assoluto è soltanto Dio che può benedire, perché Lui è la Sorgente della Vita (Sal 36,10) da cui sgorga ogni bene.
Le radici bibliche della benedizione
Nella tradizione biblica, i vari significati della benedizione richiesta a Dio, o anche da Lui concessa di sua iniziativa, traggono storicamente origine dalla radice ebraica brk (da cui il sostantivo berakah, il verbo barek e l’aggettivo barûk) che, nella sua origine etimologica, rimanda al “ginocchio”.
Uno sguardo rivolto... alla concezione cristiana della Grazia
Le radici veterotestamentarie della Grazia divina
Oggi ci soffermiamo invece su un altro termine che ha a che fare con il Soprannaturale, vale a dire “Grazia”... un vocabolo che è tra l'altro molto usato nel linguaggio popolare da parte dei credenti che si rivolgono al Signore per chiederGli una particolare grazia... e/o per ringraziarLo per le grazie ricevute.
Il "segno"... come “segnale” verso la meta
“Segno” è, infatti, il termine primariamente usato dall'evangelista Giovanni per designare i miracoli di Gesù in quanto “segnali” che indicano qualcos'altro rispetto alla loro manifestazione materiale... nel senso che essi rinviano ad un particolare significato spirituale, in funzione del quale tali segni sono stati operati.
“Vedere” il Segno divino (Gv 6,26)
A tale riguardo, un passaggio biblico assai significativo si trova nel Vangelo di Giovanni, e precisamente nel discorso che Gesù tiene poco dopo aver effettuato il miracolo della moltiplicazione dei pani, quando si rivolge alle persone che hanno beneficiato del miracolo dicendo loro: “voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati” (Gv 6,26).
"Segno"... e libertà
Assumendo questa prospettiva... e tornando per esempio ai fondamentali aspetti del miracolo che abbiamo preso in considerazione nella tappa “parole miracolose nel Nuovo Testamento”, possiamo infatti osservare che:
a) Pur se l'aspetto ontologico del miracolo [designato dai termini “erga” (opere trascendenti) e “dynamis” (atto di potenza)] di per sé si impone, perché la straordinarietà degli interventi divini (che si manifestano in una maniera che oltrepassa le capacità umane e/o l'ordinarietà degli eventi) inevitabilmente determina lo stupore che è insito nell'etimologia della parola “miracolo” [dal latino “mirari”, (ammirare, meravigliarsi)]... in ogni caso, all'essere umano rimane comunque la libertà di credere, o di non credere.... ovvero di riconoscere tali avvenimenti straordinari come degli interventi divini o, invece, di attribuire la loro straordinarietà al caso, o magari anche a delle ipotetiche cause naturali al momento sconosciute.
b) Ancor più chiaramente "subordinato" all'umana libertà è poi l'aspetto di intenzionalità divina riconducibile al termine “sēmeion” (segno), perché il "messaggio" che Dio vuole dare con il miracolo semplicemente si propone all'essere umano, il quale ha la possibilità di riconoscerlo, o di ignorarlo.
I Segni divini in quanto "appelli" alla conversione interiore
Tra incredulità e fede
Questo effetto è tutt'altro che scontato, come si può per esempio evincere dai Vangeli, dove si possono rilevare alcuni dei classici motivi per i quali l'essere umano può “fare resistenza” al segno miracoloso rispondendo con l'incredulità anziché con la conversione interiore... fino a negare l'evidenza pur di chiudere gli “occhi” della fede.
Tra le possibili componenti di tale “resistenza” c'è per esempio l'ottusità spirituale (Gv 9,39-41), che si manifesta in coloro che restano imprigionati in un tradizionalismo incapace, per partito preso, di accettare qualsiasi novità divergente dallo status quo... al di là di quanto possa essere evidente il carattere divino di tale novità (cf. Gv 5,16; 9,16).
In altri casi, a favorire l'incredulità sono degli stati d'animo abitati da paura ed opportunismo: questo è quanto si evince per esempio nel brano in cui si legge che i capi dei sacerdoti e i farisei si preoccupano del fatto che i segni compiuti da Gesù gli favoriscano un seguito popolare socialmente “destabilizzante”, che rischia di provocare un intervento dei Romani che distruggerebbe il Tempio e la nazione giudaica (cf. Gv 11,47 s).
La fede... in sintonia con il Verbo divino
- Dapprima abbiamo preso in considerazione “la fede come causa del miracolo”;
- Poi abbiamo guardato l'altra faccia della medaglia, ovvero “il miracolo come causa della fede”;
- Brevemente, ci siamo anche soffermati sul ruolo svolto dal “miracolo per ravvivare la fede”;
- Infine, abbiamo posto in evidenza la particolare condizione interiore alla quale è possibile ambire, per incarnare in sé la “beatitudine della fede”... ovvero la capacità di credere anche senza avere visto dei segni (cf. Gv 20,29).
Se quest'ultimo aspetto, ovvero la condizione interiore dei “Beati della fede”, è dunque il punto di arrivo verso il quale il credente è chiamato a procedere... è pur vero che, cammin facendo, la fede continua giustamente a rivestire anche il “ruolo” di “causa del miracolo”... cioè di mezzo attraverso il quale poter chiedere a Dio gli aiuti soprannaturali che si rendono necessari nelle proprie vite.
La "Beatitudine della fede"
Questo concetto trova una particolare sottolineatura in un brano molto noto del Vangelo di Giovanni, quello che ha per protagonista l'apostolo Tommaso il quale, a differenza degli altri discepoli, non è stato presente alla prima apparizione del Signore risorto... e proprio per questo motivo egli non crede a loro, quando gli dicono “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25).
Il "Segno" divino... che ravviva la fede
Un ulteriore aspetto insito in questo rapporto, è quello che prendiamo oggi in considerazione, e che possiamo comprendere se teniamo conto della fondamentale caratteristica dell'esistenza umana, ovvero il fatto di svolgersi in un susseguirsi di esperienze che comportano, per la persona che le vive, la necessità di un dinamico e continuo aggiornamento della sua condizione interiore.
Il miracolo... come "causa" della fede
Basti pensare ad alcuni celebri “segni” operati da Gesù e narrati dall'evangelista Giovanni, come per esempio il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino alle nozze di Cana, con il quale “Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11), o la stessa risurrezione di Lazzaro, a seguito della quale “molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui” (cf. Gv 11,45).
« La tua fede ti ha salvato » (Mc 10,52)
Così facendo, abbiamo anche creato le premesse per poter adesso focalizzare la nostra attenzione sul rapporto tra il miracolo e la fede perché, evidentemente, senza la fede il credente non potrebbe cogliere appieno il significato spirituale/simbolico dell'avvenimento miracoloso con il quale Dio interviene nella sua vita.
Per cominciare ad osservare da vicino questo basilare rapporto tra miracolo e fede, bisogna peraltro partire dall'evidenziare che il ruolo della fede non può certo essere ridotto ad una sorta di “decodificatore”, a posteriori, del significato spirituale comunicato dal miracolo.
Swami Roberto... e la mia prima volta al suo Sacro Darshan
Il fatto che mio papà, a cui i medici avevano dato non più di due o tre mesi di vita, si fosse miracolosamente ripreso grazie all'intervento di Swami Roberto, fu un'esperienza che mi portò a rimettere in discussione molte delle “certezze” razionali sulle quali fino ad allora si era poggiata la mia esistenza, perché la scienza... che fino ad allora era stata il mio “dio”... d'un tratto si era rivelata clamorosamente “piccina”, assolutamente incapace di spiegare quella straordinaria ripresa di mio papà, che io avevo personalmente constatato.
Il "vedere"... che vede oltre
Questo principio presuppone evidentemente un “canale” di conoscenza soprannaturale grazie al quale il Cristo "vede" la situazione interiore dell'essere umano... e proprio in virtù di questa conoscenza superiore, interviene nei modi e nei tempi opportuni... per donare il suo miracoloso aiuto.
Un caso esemplificativo
Il Rabbi di Nazaret respinge questa richiesta affibbiando ai suoi interlocutori la dura espressione di “generazione malvagia e adultera” perché, evidentemente, nel chiederGli questo segno che Lo accrediti come inviato di Dio, essi hanno un'intenzione che non è certo il frutto di sincerità e bontà d'animo.
Per Volontà divina... e non "a comando"
Il Cristo non compie alcun intervento prodigioso che si ponga al di fuori di questo ventaglio di significati, ed è in questa prospettiva che è possibile comprendere il modo in cui Lui risponde a chiunque gli richieda delle azioni miracolose sulla base di motivazioni diverse... come quelle che per esempio rientrano nelle aspettative degli increduli che pretenderebbero delle rassicuranti prove soprannaturali volte a “facilitare” la loro fede (Gv 2,18-19; 4,48)... degli avversari religiosi che vorrebbero provocarLo (Mt 12,38; 16,1-4)... o anche di coloro che vorrebbero indurLo a fare dei miracoli per Sé stesso, anziché per il bene degli esseri umani (Mc 15,29-32).