« Perché tutti siano uno »

Tra gli innumerevoli mantra che fanno parte delle varie tradizione religiose orientali, ce ne sono alcuni che hanno raggiunto una particolare importanza... com'è il caso dei "mahāvākya", ovvero alcune grandi massime tratte dalle Upanisad*.
Una di queste è l'affermazione “Tat tvam asi” (“Tu Quello sei”, “Questo sei tu”), un mantra sanscrito che viene celebrato dai credenti con l'aspirazione di unirsi al Brahman*, cioè al Dio assoluto, eterno ed immutabile... e, come scrive per esempio il teologo K.Friedrichs, « il discepolo, che si riconosce come ātman in questo “tu”, otterrà spontaneamente la liberazione, perché l'ātman è identico al Brahman »  (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.422).

Questo tipo di interpretazione si inserisce nella prospettiva teologica che fa riferimento ad una delle figure di spicco della tradizione religiosa indiana, ovvero Śańkara (ca. 788-820), il quale elaborò la concezione secondo cui il Brahman (l'Assoluto di Dio) e l'Ātman (l'Io individuale del credente) non sono considerate “due realtà distinte o destinate a rimanerlo” (M.Delahoutre, Grande Dizionario delle religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1990, p.17).
Occupandosi di questo argomento, che è uno dei cardini della dottrina filosofico-religiosa indiana nota come "advaita" (“non dualismo”), il noto teologo cristiano Hans Küng osserva però che nella "lettura" di molti Occidentali esiste una significativa imprecisione, visto che in Occidente, “il sistema onnicomprensivo di Śańkara è stato spesso presentato erroneamente come la teologia indiana per eccellenza” (Cfr.Hans Küng, "Cristianesimo e Religioni Universali", Mondadori 1986, p.240).

In effetti, oltre a Śańkara nel sistema filosofico-religioso dell'advaita esiste anche un'altra fondamentale figura, quella di Rāmānuja (ca 1056-1137) e, paragonando queste due diverse prospettive teologiche, Küng scrive: « Rispetto al panteismo di Śańkara, alla sua assoluta, pura “assenza di dualità, Rāmānuja fa propria una “dottrina dell'unità qualificata” teisticamente, altrettanto onnicomprensiva, ma insieme differenziata.».
Dopo aver osservato che in questa sua visione Rāmānuja distingue il Brahman (Dio) dall'Ātman (l'Io individuale del credente) e anche dal mondo... Küng giunge alla conclusione che la visione cristiana potrebbe essere posta nella linea di Rāmānuja, e scrive: “La teologia cristiana attribuisce a Dio un rapporto fondamentale con il mondo e al mondo una fondamentale partecipazione all'essere divino, al dinamico essere stesso che è Dio: Dio è immanente al mondo proprio perché lo trascende. Il mondo ha una realtà, non indipendente, ma neppure soltanto apparente, bensì relativa. Identità nella dualità (nel senso di Rāmānuja)” (Cfr.Hans Küng, idem, p.241).

Quest'ultima prospettiva teologica, che distingue Dio dall' “Io individuale” del credente, può dunque permettere di intendere il mantra “Tat tvam asi” (come anche l'affine "So 'ham" che in sanscrito significa "Io sono Lui/Quello") anche in un senso più affine all'aspirazione del credente cristiano, di raggiungere l'unità con Dio intesa come una “comunione nella diversità”.

A tale proposito, nell'universo teologico cristiano l'aspirazione all'unità con Dio viene particolarmente evidenziata nella prospettiva cristologica che trae origine dal Vangelo di Giovanni.
Nel 17° capitolo giovanneo troviamo infatti Gesù che si rivolge al Padre pregandoLo : “perché tutti siano uno; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
L'evangelista usa qui il termine “uno” per indicare la reciproca immanenza tra il Figlio e il Padre che caratterizza il Quarto Vangelo, e che nel linguaggio teologico è definita inabitazione.
Questo termine teologico indica sia la relazione divina tra il Padre e il Figlio, sia la relazione tra il Figlio e il credente, sia la comunione dei credenti con il Padre e il Figlio.
In tutti questi casi, si tratta di una relazione di “presenza interiore” nella quale le “persone” rimangono due, ma in una comunione così piena che le fa essere “uno”... ed è dunque in questa direzione che deve rivolgersi l'aspirazione del credente cristiano, che mira a realizzare nella sua vita l'"unità" divina che è oggetto della “preghiera sacerdotale” di Gesù (Cfr. Gv 17,1-26).

Questa peculiare visione teologica che caratterizza il Vangelo di Giovanni, trae origine dall'amore con il quale il Padre ama il Figlio, Il quale a sua volta ama il Padre, facendo sì che Essi siano “uno” (Cfr. Gv 17,21) senza però che venga meno la rispettiva individualità.
Analogamente, anche i discepoli di Cristo sono chiamati... mediante la pratica del divino “comandamento dell'amore” (Cfr. Gv 13,34)... ad entrare in questa “unità” divina, senza che venga mai meno l'individualità del singolo credente.
Esemplificativa, in questo senso, è un'immagine formulata da uno dei più noti studiosi giovannei, il Prof. Robert Kysar, il quale scrive che questo rapporto di unità del discepolo con Cristo « potrebbe essere rappresentato nella conformazione del numero “8”. Se la si guarda da una prospettiva, si tratta di una linea continua nella sua unità.
Il Sacro Tempio di Anima Universale,
all'interno del Monastero di Leini (TO)
Vista da un'altra, si tratta di due cerchi. Ciascuno dei due è indipendente dall'altro. Tuttavia i due si toccano in un punto. Quindi, esiste unità ma anche individualità distintiva. Si pensi, volendo, a una serie di numeri “8” tutti composti da una linea continua, ma che formano una serie di cerchi singoli disposti l'uno accanto all'altro. Una tale figura immaginaria potrebbe rappresentare la concezione giovannea della comunità cristiana: l'unità nella diversità.» (R.Kysar, Giovanni. Il Vangelo Indomabile, Ed.Claudiana 2000, p.175).

Con questa "figura", al contempo numerica e teologica, che "abita" nei miei pensieri... mi è così facile immaginare di entrare nella forma ad “otto sacro” del Tempio di Anima Universale, dove incontro i fedeli che... accogliendo gli insegnamenti di Swami Roberto... possono realizzare nella loro vita la comunione con Dio diventando le "pietre vive" della comunità cristiana-ramirica, "incarnando" così anche lo spirito della preghiera rivolta da Cristo al Padre "perché tutti siano uno; come tu Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi" (Gv 17,21).



Segue: La preghiera contemplativa

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P.S. - Piste di approfondimento:
Nel mio blog "Diario di un monaco, discepolo di Swami Roberto":
“Siamo Uno”
“Al settimo cielo”
“Pari e dispari”
"Essere Uno in Dio"
"Lievitazione interiore"

Nel mio blog "Sui sentieri del Vangelo di Giovanni": Gv 17,21
 

* Glossario:
- Brahman. Nell'Induismo il Brahman è l'assoluto, immutabile ed eterno, la realtà suprema e non duale del Vedānta. Nella sua astrazione, l'idea di coscienza assoluta è inconcepibile razionalmente. Al minimo tentativo di concretizzazione, essa diventa Īśvara. Il Brahman è uno stato di trascendenza pura, non può quindi esser formulato né dal pensiero né dalla parola. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.57)
- Upanisad. In sanscrito il termine Upanisad (upa: “vicino a”, ni: “in basso”, sad: “sedersi”), significa  “sedersi ai piedi del maestro per ascoltare i suoi insegnamenti”. Le Upanisad costituiscono l'ultima parte della śruti (Veda) e sono la base principale per le dottrine del Vedānta, insieme di speculazioni filosofiche che conclude i Veda. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.445)
- Veda. In sanscrito il termine Veda significa “sapienza”. I Veda costituiscono la rivelazione (śruti, letter. “audizione"). Secondo la tradizione hindū, infatti sarebbero stati redatti dai rsi (poeti ispirati, veggenti) in seguito a una rivelazione divina (o autorivelazione, secondo la tradizione più ortodossa) ottenuta durante uno stato di profonda meditazione. (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.457) 
- Vedānta. Il Vedānta (un termine che in sanscrito significa “fine dei Veda”) è costituito dalle considerazioni finali contenute nelle Upanisad. Questi testi contengono riflessioni relative al Brahman e all'Ātman. Bādarāyana li raggruppò nei Vedānta.  (Cfr. K.Friedrichs, Dizionario della saggezza orientale, Mondadori, Milano 2007, p.457). Il Vedānta indica sia la letteratura delle Upanisad, che effettivamente chiude il Veda, sia il sistema o la scuola (Darśana) che si fonda sulle conclusioni tratte dalle Upanisad. (M.Delahoutre, Grande Dizionario delle religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1990, p.2226)