Nella prospettiva cristiana, la Rivelazione divina è da considerare chiusa, oppure aperta?
Lo Spirito Santo ha già detto tutto quello che aveva da dire, o sta ancora parlando?
Nel corso dei secoli, a queste basilari domande sono state date risposte “confessionali” diverse, alcune delle quali non tengono peraltro conto di una realtà che appare evidente nel momento in cui si osserva come... successivamente all'esistenza terrena di Gesù... sia nelle comunità paoline che in quelle giovannee la Rivelazione divina continuava ad esprimersi attraverso nuovi profeti, ai quali veniva riconosciuta un'importanza che era seconda soltanto a quella attribuita agli apostoli.
Le "fondamenta" teologiche di questa realtà sono chiaramente espresse in alcuni passi del Nuovo Testamento:
Per esempio nel quarto Vangelo, all'interno dei cosiddetti “discorsi di addio”, Gesù aveva annunciato: "Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto" (Gv 14,26).
Ciò chiaramente implicava che ci sarebbero poi stati dei cristiani i quali, accogliendo in loro l’azione dello Spirito, sarebbero diventati degli strumenti attraverso i quali queste parole avrebbero potuto compiersi e, in effetti, le comunità giovanniste si organizzarono in gruppi caratterizzati da una forte impronta profetica, all'interno dei quali i nuovi profeti confermavano ed interpretavano il messaggio di Cristo... ma non solo...
Il Gesù giovanneo aveva anche sottolineato come i suoi discepoli non fossero stati in grado di “portare il peso” di “tutta la verità” e, per conseguenza, Lui aveva profetizzato la necessità di un’ulteriore fase di Rivelazione, che avrebbe avuto luogo attraverso l'avvento dello “Spirito di verità (che) vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Cfr. Gv 16,12-13).
Un analogo orizzonte teologico è prospettato anche in alcuni passaggi delle lettere paoline nelle quali, per esempio, l’ “apostolo dei gentili” si rivolge così ai Corinti: “Chi ritiene di essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto vi scrivo è comandato dal Signore” (1Cor 14,37).
Queste parole dimostrano che Paolo concepisce il profeta come colui che può ricevere una Rivelazione direttamente da Gesù elevato in cielo, come per esempio rileva il biblista prof. Mauro Pesce in un suo commento al passo di 1Cor 14,37: « Ciò significa che il profeta ha la possibilità di conoscere se un precetto è, o no, del Signore (Gesù) e il fatto che Paolo si appelli alla capacità profetica e pneumatica significa che egli pensa che proprio in base a questa capacità il profeta o lo pneumatico può sapere se un precetto è di Gesù. In sostanza, il presupposto è che i profeti delle comunità paoline abbiano rivelazioni dirette del Signore.» (M. Pesce, “Da Gesù al cristianesimo”, Brescia, Ed. Morcelliana, 2011).
Questa rilevanza assunta dall'elemento profetico all’interno delle prime comunità cristiane, conferiva dunque alla Rivelazione divina un’ “apertura” volta non solo a ricordare ed interpretare correttamente ciò che Gesù aveva detto (Cfr. Gv 16,12)… ma anche a ricevere profeticamente dal Signore le rivelazioni necessarie a far fronte alle nuove problematiche ed istanze che, con lo scorrere del tempo, sarebbero state dettate dal mutare delle situazioni storiche e sociali che i cristiani avrebbero via via affrontato.
Piste di approfondimento:
- “Profeti dopo Cristo” (nel mio blog “Sui sentieri del Vangelo di Giovanni”).
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