Il Nome divino... nel Tempio di Gerusalemme

L'umana aspirazione di vedere Dio è uno dei temi largamente diffusi nelle pagine della Bibbia ebraica e, come abbiamo visto nella precedente tappa, questo desiderio non trova risposta nella possibilità di vedere direttamente il "volto" di Jahvè... bensì nella possibilità di contemplare la sua Gloria, ovvero di fare esperienza delle manifestazioni "velate" della sua divina presenza e della sua potenza.
Una particolare manifestazione della gloria divina avviene nella “tenda del convegno” (il santuario mobile contenente l'Arca dell'alleanza) nella quale Jahvè manifesta la sua presenza durante l'esodo del popolo ebraico nel deserto.
Proprio l'espressione “tenda del convegno”, o “tenda dell'incontro” (in ebraico ohel mo'ed) è indicativa della concezione ebraica del luogo di culto, inteso come l'area sacra in cui il credente può recarsi per incontrare Jahvè.
Nella preghiera che Salomone celebra nel momento della storia ebraica in cui l'Arca dell'alleanza trova la sua sede definitiva nel Tempio di Gerusalemme, lui si rivolge al “Signore, Dio d'Israele”, dicendoGli tra l'altro “i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito” (1 Re 8,27; Cfr. Is 66,1).
In questa espressione è contenuto un elemento di diversità rispetto alle circostanti culture religiose, che concepivano l'area sacra templare come la dimora terrestre della divinità, nella quale i fedeli potevano automaticamente incontrarla come se tale divinità vi fosse in un certo senso “catturata”... secondo una concezione religiosa che era evidentemente incompatibile con Jahvè, il Dio trascendente irriducibile a qualsiasi vincolo o limitazione umana.
Nel prosieguo della sua preghiera, Salomone dice anche: “Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora celeste, ascolta e perdona!” (1 Re 8,30).
Da queste parole si evince la concezione secondo la quale Jahvè non “abita” nel Tempio ma, dalla “dimora celeste” della sua trascendenza, Egli accetta di entrare in dialogo con i credenti che rispondono alla sua “convocazione” (in ebraico “qahal”, altra definizione del santuario ebraico)... rivelandosi alla loro fede.
Secondo questa concezione, Dio rimane dunque nella sua “dimora celeste” ad “ascoltare” la preghiera del fedele, ed è solo il suo Nome divino che abita nel Tempio (Cfr. Dt 12,5).
Nella cultura semita il “nome” esprimeva la realtà di una persona, rappresentandola nella sua identità, per cui il fatto che, come ricorda Salomone nella sua preghiera, Dio si sia riferito al Tempio promettendo “Là porrò il mio nome!” (1 Re 8,29)... va inteso nel senso che Lui manifesterà la sua presenza nel luogo sacro.
Ciò potrà accadere nella misura in cui il credente invocherà il Nome divino elevando la propria preghiera con un cuore fedele... altrimenti, come ammoniscono a più riprese i profeti nel corso dei secoli (Ger 7,1-15;  Ez 8,1-10,22), Jahvè ritirerà il dono della sua divina presenza di fronte all'umana infedeltà.
Nella prossima tappa ci occuperemo ancora della manifestazione della "presenza divina", focalizzando la nostra attenzione sulla concezione ebraica di Shëkhināh.




Segue: Shëkhināh, la presenza di Dio

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