Il « Nuovo Tempio »... nel Corpo di Cristo

Tra gli episodi della vita pubblica di Gesù, uno dei più noti è quello della purificazione del Tempio di Gerusalemme che, seppur con sfumature diverse*, è raccontata da tutti e quattro gli evangelisti.
Nel racconto marciano Gesù denuncia la corruzione che fa diventare tale Tempio un “covo di ladri” (Mc 11,17) e, in questo modo, il Cristo fa riecheggiare un'espressione utilizzata da Geremia (Ger 7,11) in un discorso nel quale il profeta evidenzia come il comportamento infedele del popolo trasformi il tempio in una costruzione “svuotata” dalla presenza divina, di fatto “sostituita” dal silenzio di Dio.
Nel racconto dell'evangelista Giovanni leggiamo che Gesù, subito dopo aver compiuto il gesto profetico della purificazione del tempio, rivela una realtà che a quanti Lo ascoltano pare enigmatica.
Infatti, ai Giudei che Gli chiedono con quale segno Lui legittimi Sé stesso, per aver compiuto un gesto tanto clamoroso, Gesù risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19).
I Giudei pensano al tempio di pietra ed invece, come scrive subito dopo l'evangelista, Gesù “parlava del tempio del suo corpo” (Gv 2,21) che, una volta “distrutto”, Lui “riedificherà” in tre giorni mediante la sua Risurrezione.
Questo brano giovanneo mette pertanto in evidenza il tema fondamentale del “nuovo tempio” identificato con il corpo di Cristo e, d'altronde, fin dal mirabile prologo del suo Vangelo Gv ha fatto finemente trasparire questa divina realtà, incastonandola in modo velato nel celebre versetto che si pone a fondamento della successiva teologia trinitaria: “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14a).
Scrivendo che il Verbo incarnato “venne ad abitare” tra noi, Gv usa il termine greco “eskēnōsen” che letteralmente significa “mise la tenda” (dal greco “skênê”, che significa “tenda”), per cui l'evangelista allude chiaramente alle pagine dell'Esodo che parlano della presenza di Jahvè nella “tenda del convegno” (Cfr. per es. Es 40,1), ma non solo...
Oltre a costituire l'“ossatura” del termine greco skênê (tenda) le tre consonanti s-k-n sono costitutive anche del termine ebraico Shëkhināh (presenza di Dio) per cui... al di là del fatto che si tratta di due vocaboli provenienti da due lingue diverse... questa corrispondenza fonetica fa trasparire l'intento di Gv di comunicare ai lettori del suo Vangelo un fondamentale concetto teologico: Gesù è l'incarnazione del Verbo che sin dal principio “era presso Dio, ed era Dio” (Gv 1,1), e che in un certo momento della storia umana ha messo la “tenda” del suo corpo nella terra percorsa dal fiume Giordano, portando la Shëkhināh, la presenza di Dio in mezzo a noi.
In questa prospettiva il Corpo di Cristo è dunque il nuovo tempio, la nuova “tenda del convegno” nella quale Dio abita e manifesta la gloria della sua divina presenza, e nel Corpo-tempio di Gesù trovano dunque compimento le parole con le quali il profeta Isaia annunciava la nascita salvifica dell'Emmanuele, il “Dio con noi” (Is 7,14).
Nella concezione cristiana, il tempio di pietra mantiene allora il suo valore in quanto segno della presenza viva di Cristo, ed i fedeli che sono in comunione con Lui diventano essi stessi pietre vive della sua ekklesia, come vedremo nella prossima tappa.


P.S. - Nel mio blog “Sui sentieri del Vangelo di Giovanni”  puoi percorrere anche queste piste di approfondimento:
- “Il segno del Tempio (Gv 2,13-25)” *
- “Gv 1,14a”
- “La preesistenza di Cristo”
- “Il Logos nel prologo giovanneo”
- “Dal Logos della filosofia... al Logos di Gv”
- “Cristologia giovannea del Logos”




Segue: Il Tempio di "pietre vive"... che accolgono "Cristo nell'uomo"

Vai al GPS