Nell'arco della storia religiosa del popolo ebraico ci sono in particolare due periodi che sono fortemente caratterizzati dalla presenza di interventi divini straordinari, mediante i quali Jahvè manifesta la sua benevolenza nei confronti del popolo ebraico.
Si tratta rispettivamente del periodo dell'Esodo, (XIII sec. a.C. ca) nel quale il Dio-liberatore opera in modo diretto... e il tempo di Elia e di Eliseo (IX-VIII sec. a.C. ca.), nel quale Egli opera attraverso i profeti.
Se focalizziamo lo sguardo sul libro dell'Esodo, possiamo osservare che la caratteristica dei miracoli che vi compaiono “non è di sospendere le leggi della natura, ma di manifestare con intensità la presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il valore del miracolo non sta allora nel suo carattere sorprendente; fatti del tutto normali se carichi di significato possono essere miracolosi” (Cf. Maurice Carrez, Grande Dizionario delle Religioni, Cittadella Editrice, Assisi 1990, p.1349).
Nell’antico Israele biblico l’avvenimento “miracoloso” è infatti considerato tale non perché infranga le "leggi della natura" (le quali sono un concetto scientifico moderno, e non biblico), bensì perché palesa delle caratteristiche che lo fanno riconoscere come un intervento di Dio che si inserisce in modo “meraviglioso” nel corso della natura e del tempo, operando dei palesi effetti provvidenziali in favore della comunità alla quale l’avvenimento miracoloso è rivolto.
Dunque, non ci troviamo affatto di fronte all’idea di una violazione, da parte di Dio, dell’ordine naturale, ma anzi: in questa antica prospettiva biblica tutto nella natura è di per sé miracoloso in quanto espressione dell’azione divina, ed è su questa “base meravigliosa” che si inseriscono poi quegli atti divini particolarmente mirabili raccontati dal libro dell’Esodo, attraverso i quali Jahvè guida il suo popolo verso la salvezza.
Trattandosi di fatti che nella prospettiva religiosa si distinguono dall’ordinarietà ma che non violano alcuna legge di natura, diventa inefficace una comune obiezione che oggigiorno può essere mossa da chi, per esempio, leggendo le pagine dell’Esodo pensa che quei fenomeni - “gonfiati” dallo stile enfatico degli autori biblici - possano in realtà avere un spiegazione del tutto logica e naturale che, di fatto, li svuoterebbe di ogni "miracolosità".
Quanti si riconoscono in questo punto di vista possono per esempio pensare che la fuga degli Ebrei dall'Egitto ad un certo punto sia stata agevolata dal flusso favorevole delle maree, che prima sono sopraggiunte e poi si sono ritirate con estrema rapidità, ma in modo del tutto naturale (Es 14,15-30)… e poi che delle quaglie si siano posate numerose a terra, per riposare durante le loro migrazioni (Es 16,13; Nm 11,31-34)… e che la biblica manna (Es 16,14-18) sia quella stessa sostanza nutriente e resinosa della quale i beduini della regione traggono a tutt’oggi alimento, e che cola da un alberello chiamato “tamarix mannifera”.
Ora… quand’anche si volesse assecondare questa visione “razionalista”, riconducendo i suddetti avvenimenti in un ordine naturale, non ne uscirebbe per nulla pregiudicata la prospettiva di fede volta a riconoscerli come miracoli, per la ragione che per esempio è così sintetizzata alla voce “Miracle” del Dictionnaire encyclopédique de la Bible : “A torto si ritiene che un miracolo spiegabile non sia più un miracolo. Nonostante sappiamo che molti miracoli della Bibbia hanno ricevuto una spiegazione soddisfacente, dovremmo forse cessare per questo motivo di pensarli come miracoli? (…) la spiegazione possibile di un miracolo non toglie niente del suo valore agli occhi del credente. Quand'anche fosse provato che una violenta corrente marina sia all'origine dell'apertura delle acque del Mar Rosso, la fede del cristiano non ne sarebbe in alcun modo diminuita” (Henry Leenhardt, op.cit., Valence-sur-Rhône, 1973, t.II, p.168/169).
D’altronde, è lo stesso autore sacro a raccontare questi fatti miracolosi menzionandone le cause naturali, quando per esempio scrive che “il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto” (Es 14,21).
Ecco allora che il carattere miracoloso di questi e altri avvenimenti non è determinato dal fatto di "essere oltre" rispetto al corso ordinario della natura, quanto invece dal fatto di manifestare delle caratteristiche che li rendono riconoscibili quali azioni di Jahvè che interviene per la salvezza del suo popolo… e dunque quali testimonianze del suo provvidenziale operato, volto a salvaguardare la vita del suo popolo.
Pertanto, nella visione religiosa ebraica che traspare dalle pagine della Tōrāh, questo riconoscimento non viene minimamente inficiato dalle obiezioni che possono essere mosse dalla moderna mentalità razionalista, anche perché le “meraviglie di Dio” raccontate nel Libro dell’Esodo possiedono l’altro fondamentale requisito che la fede ebraica richiede al miracolo, ovvero il fatto di essere preannunciato.
In occasione dell'uscita dall'Egitto, mediante la voce di Mosè il Signore aveva infatti detto agli israeliti “Vi farò salire dalla umiliazione dell'Egitto verso la terra... dove scorrono latte e miele” (Es 3,17)... “Non abbiate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore” (Es 14,13)... e queste promesse divine, che evidentemente richiedono l'ascolto e la fiducia da parte del popolo, trovano attuazione negli avvenimenti che poi consentono agli Israeliti di condurre con successo il loro Esodo verso la Terra promessa.
Ecco allora che le “meraviglie di Dio” sono considerate tali nel momento in cui contengono entrambi gli elementi costitutivi del miracolo esodiaco, ovvero la promessa di Dio e la sua attuazione… i due “requisiti” che, in questa prospettiva di fede, permettono di interpretare tali fatti come promesse mantenute da Jahvè, per la salvezza del suo popolo.
Segue: Swami Roberto... e il mio "faccia a faccia" con il Soprannaturale
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