La "Beatitudine della fede"

Se è vero... come abbiamo visto nella tappa precedente... che in certi casi Gesù opera i miracoli per ravvivare la fede... è anche vero che una fede che abbia necessariamente bisogno dei miracoli per “sopravvivere”, dimostra di essere una fede ancora imperfetta.
Questo concetto trova una particolare sottolineatura in un brano molto noto del Vangelo di Giovanni, quello che ha per protagonista l'apostolo Tommaso il quale, a differenza degli altri discepoli, non è stato presente alla prima apparizione del Signore risorto... e proprio per questo motivo egli non crede a loro, quando gli dicono “Abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25).
A distanza di otto giorni Gesù risorto si presenta nuovamente nella casa dove si trovano i discepoli, e questa volta c'è anche Tommaso il quale, potendo mettere il suo dito nel fianco del Risorto, esclama “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28).
Di fronte a questa sua professione di fede, Gesù dice: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29).
Il Cristo proclama dunque quella che può essere definita la “beatitudine della fede”, cioè la capacità di credere anche senza vedere... e, riguardo al miracolo della Resurrezione, proprio questo saranno chiamati a fare i credenti cristiani delle generazione successive, i quali evidentemente non potranno contare su quella opportunità di vedere il Risorto della quale hanno invece usufruito, in maniera del tutto eccezionale, i discepoli nominati in questo brano del Vangelo.
Pur se questo principio spirituale affermato da Gesù è qui riferito specificamente alla Resurrezione, esso è valido anche, in generale, per la fede in Lui... nel senso che sono “beati nella fede” tutti coloro che, per crederGli, non hanno necessariamente bisogno dei segni.
Ciò non significa, comunque, che tali segni debbano essere svalutati... tutt'altro!
I segni soprannaturali mantengono infatti una fondamentale importanza, perché di essi il Cristo si serve per aiutare, chi ne ha bisogno, a far maturare la sua fede:
Questo è stato proprio il caso di Tommaso, che ha visto soddisfatta la sua richiesta di “vedere... e mettere il dito nel segno dei chiodi” (cf. Gv 20,25)… e proprio grazie a questo segno egli è giunto ad esprimere quella che, dal punto di vista teologico, è di fatto la più alta espressione di fede contenuta nei Vangeli (cf. Gv 20,28) (*).
Come ha fatto con Tommaso, il Cristo continuerà a concedere la risposta di un segno soprannaturale a quanti, non avendo ancora realizzato in sé stessi la “beatitudine della fede”, in questo modo potranno essere aiutati a percorrere la via orientata a raggiungerla.



Segue: La fede... in sintonia con il Verbo divino

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P.S. - Osservando con uno sguardo d'insieme l'arco temporale narrato dai quattro evangelisti, è possibile rilevare come la peculiare prospettiva teologica suggerita da questa “beatitudine della fede” sia riscontrabile, oltre che nel brano sopracitato... che costituisce la fine della narrazione giovannea... anche nel brano che idealmente costituisce l'inizio della narrazione sinottica.
Infatti, è chiaramente una “beatitudine della fede” quella impersonata da Maria, alla quale Elisabetta dice: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,45).
Di fatto è proprio da qui, cioè dall'episodio lucano dell'Annunciazione a Maria, che parte la “Buona Novella” rivolta ai credenti i quali... se sapranno accogliere il messaggio di Gesù narrato nei Vangeli... potranno vivere la Beatitudine da Lui annunciata: “Beati quelli che pur non avendo visto crederanno” (Gv 20,29)...
In questa prospettiva, la “traiettoria” dei Vangeli è idealmente aperta dalla “beatitudine della fede” impersonata da Maria (Lc 1,45)... e si conclude con la “beatitudine della fede” annunciata per i futuri discepoli di Cristo (Gv 20,29).

P.S. Bis – Piste di approfondimento:
- Nel mio blog “Sui sentieri del Vangelo di Giovanni”, vedi il brano “Gv 20,19-29”(*)
- Nel mio blog "Diario di un monaco, discepolo di Swami Roberto", vedi il post: Divina Beatitudine