Le radici veterotestamentarie della Grazia divina

Da alcune tappe stiamo osservando la primaria importanza che il  termine “segno” ha assunto nel Nuovo Testamento - oltre che, per conseguenza, anche nel linguaggio teologico cristiano - per designare gli interventi miracolosi che Dio opera nella vita degli esseri umani.
Oggi ci soffermiamo invece su un altro termine che ha a che fare con il Soprannaturale, vale a dire Grazia... un vocabolo che è tra l'altro molto usato nel linguaggio popolare da parte dei credenti che si rivolgono al Signore per chiederGli una particolare grazia... e/o per ringraziarLo per le grazie ricevute.
Per comprendere tale termine riferito, in questi particolari casi, a quelle che nel linguaggio teologico sono dette “grazie attuali”... si rende utile aprire una parentesi relativamente al concetto teologico che vi sta alla base ovvero – per l'appunto - quello di “Grazia” (dal latino gratia, traduzione del greco cháris, “benevolenza”, “favore”).

Nella prospettiva cristiana, la Grazia può essere definita come l'amorevole azione salvifica che Dio opera in favore dell'essere umano, e che raggiunge il suo culmine attraverso la cristica incarnazione del Verbo (cf. Gv 1,14.17).
Questa concezione di Grazia ha le sue radici bibliche nelle pagine dell'Antico Testamento, dove per esempio si trova anche la significativa professione di fede nel Signore contenuta nel libro dell'Esodo: “Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6; cf. Sal 103,8).
Il senso di questa espressione può essere compreso considerando come nell'Ebraismo la benevolenza di Jahvè per il popolo d'Israele sia fondata sul concetto di “alleanza” (in ebraico “berit”), cioè sulla personale donazione che Dio fa al suo popolo attraverso una propria iniziativa unilaterale, mediante la quale Egli concede agli israeliti di entrare in una relazione di alleanza con Lui per pura Grazia, cioè per gratuito e salvifico dono d'amore... ed è proprio questo divino Amore di auto-comunicazione, a costituire il contenuto di questo Patto di Alleanza stipulato da Dio con il suo popolo.

Alla parola greca “Cháris” (Grazia) sono riconducibili alcuni termini ebraici, a partire dai due che troviamo nella sopracitata espressione esodiaca : “Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore (hesed) e di fedeltà (emet)” (Es 34,6).
Questa ricchezza di benevolenza e favore è slegata dal principio di giustizia, come per esempio chiarisce una altro passo nel quale il Signore dice “a chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia” (Es 33,19).
Nella concezione religiosa ebraica, questo “vorrò” sottolinea come la Grazia divina non dipenda dai meriti dell'essere umano che ne beneficia, ma sia unicamente il frutto della superiore Volontà di Dio, che elargisce gratuitamente tale Grazia secondo criteri che trascendono la comprensione umana ma che, al contempo, non sono “scriteriati” [Vedi, a tale riguardo il termine 'Esah (nel Dizionario tematico)].
Nella prospettiva ebraica, l'amore gratuito (hesed) accordato da Dio nell'ambito dell'alleanza (berit), viene da Lui mantenuto con perfetta fedeltà, indipendentemente dai comportamenti umani... tant'è vero che il termine ebraico tradotto con “fedeltà”, vale a dire “emet”, ha alla sua base la stessa radice verbale della nostra parola amen ed indica la stabilità che – per l'appunto - il Signore ci offre con la sua fedeltà.
Questa fedeltà è talmente perfetta che la Grazia divina non viene incrinata dal peccato, cioè dall'infedeltà dell'essere umano nei confronti dell'alleanza che Dio ha stabilito con il suo popolo.
Il libro dell'Esodo ci dice infatti che il Signore “conserva il suo favore per mille generazioni” (Es 34,7), vale a dire senza soluzione di continuità, e anche quando il popolo si dimostra infedele, i conseguenti periodi di prova che si impongono per esigenza di giustizia, non sono mai fini a se stessi, ma sono sempre volti a ripristinare le giuste condizioni dell'alleanza.
Nella visione teologica che è proprio dell'Ebraismo... i peccati degli esseri umani, per quanto possano essere “ostinati”, non fanno mai venire meno la Grazia che Jahvè, Dio misericordioso, accorda al suo popolo... come rileva il salmista quando scrive: “Israele attenda il Signore, perché presso il Signore è la misericordia e grande presso di lui la redenzione” (Sal 130,7).
In sostanza, questa divina fedeltà che non viene minimamente intaccata dai peccati del popolo... è pura Grazia... perfetta espressione della divinità di Jahvè... la cui infinita misericordia è designata nei libri dei profeti con il concetto “rahamin” (che deriva dal termine “raehaem”, che significa “viscere materne”) (Cf. Is 14,1; 54,715; 63,716; Os 2,21) [*].



Segue: Uno sguardo rivolto... alla concezione cristiana della Grazia

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[*] P.S. - A tale riguardo, vedi anche il post Rahamîm (nel mio blog “Diario di un monaco, discepolo di Swami Roberto”).