Siamo da poco giunti, in questo nostro percorso nel Soprannaturale, a prendere in considerazione la funzione comunicativa del miracolo, cioè il messaggio religioso che vi è contenuto... soffermandoci in un ambito concettuale dove abbiamo posto in evidenza il miracolo anche come parte del linguaggio simbolico attraverso il quale Gesù ha comunicato all'umanità la Realtà trascendente del Padre suo, e nostro.
Così facendo, abbiamo anche creato le premesse per poter adesso focalizzare la nostra attenzione sul rapporto tra il miracolo e la fede perché, evidentemente, senza la fede il credente non potrebbe cogliere appieno il significato spirituale/simbolico dell'avvenimento miracoloso con il quale Dio interviene nella sua vita.
Per cominciare ad osservare da vicino questo basilare rapporto tra miracolo e fede, bisogna peraltro partire dall'evidenziare che il ruolo della fede non può certo essere ridotto ad una sorta di “decodificatore”, a posteriori, del significato spirituale comunicato dal miracolo.
In questo fondamentale rapporto “di coppia”, la fede recita infatti un ruolo ben più importante, come possiamo evincere dai numerosi brani del Vangeli nei quali Gesù indica proprio la fede come il presupposto necessario al miracolo.
Prova ne sia che, in certi casi, è proprio la mancanza di fede ad inibire il potere miracoloso di Gesù, come si può per esempio rilevare nel brano in cui a Nàzaret “a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi” (Mt 13,58)... laddove il termine “loro” è riferito ai suoi compaesani, che conoscono Gesù come il “figlio del falegname” e, per questo motivo, non hanno fede in Lui.
Molti altri brani dei Vangeli potrebbero poi essere presi in considerazione per evidenziare come, a più riprese, Gesù designi chiaramente l'iniziale fede del credente quale presupposto indispensabile del miracolo che questi può ricevere... come per esempio accade all'uscita da Gerico quando Gesù incontra un cieco che Gli chiede di tornare a vedere, e Lui lo guarisce miracolosamente dicendogli: “Va', la tua fede ti ha salvato” (Mc 10,52)... per non parlare poi delle guarigioni operate da Gesù a beneficio del paralitico (Mc 2,5), del servo del centurione (Mt 8,10; Lc 7,9), della figlia della Cananea (Mt 15,28), dell'emorroissa (Mc 5,34).
Osservando tutti questi episodi con una sguardo di insieme, si può peraltro rilevare che la fede di questi miracolati non era di natura “dottrinale”, cioè non era una fede che propriamente riconosceva in Gesù il Messia, Figlio di Dio inviato sulla terra.
Si trattava, invece, di una “fede-fiducia” rivolta alla persona di Gesù, riconosciuto quale portatore di una potenza soprannaturale capace di salvare dal male... senza però che questa iniziale disposizione fiduciosa nei suoi confronti implicasse necessariamente anche il dover credere, in senso “teologico-dottrinale”, ad alcuni particolari aspetti della sua identità divina.
Proprio questa “generica” fede-fiducia, esente da specifiche connotazioni teologico-dottrinali, può dunque essere considerata il primo ed indispensabile presupposto di questo tipo di miracoli i quali, per poter essere operati, richiedono – per l'appunto – un iniziale assenso dell'umana libertà da parte della persona che prende la decisione di “credere” nelle facoltà taumaturgiche di Gesù... perché “ha fiducia” di poter ricevere da Lui un aiuto soprannaturale.
Poi, dopo che il Cristo, mediante il miracolo, ha stabilito con il beneficiario un dialogo... subentra la fase successiva, nella quale può innestarsi nel credente una fede più matura, orientata anche in senso dottrinale-teologico:
Questa fede si sviluppa quando la persona miracolata è capace di andare oltre il prodigio in sé, disponendosi a cogliere il messaggio contenuto nel miracolo... ad interrogarsi... a poter riconoscere l'identità divina di Colui che ha operato il miracolo, come vedremo meglio in un'apposita tappa.
Segue: Il miracolo... come "causa" della fede
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