"Ordinarietà" e straordinarietà del miracolo

Mentre percorrevamo la tappa « Il "miracolo" nella tradizione ebraica », abbiamo rivisitato la concezione veterotestamentaria che riconosce come miracolosa anche l’azione compiuta da Dio negli abituali processi naturali, tant’è vero che la Tōrāh si riferisce talvolta ai fenomeni cosmici facendo uso di alcuni dei termini che abbiamo incontrato nella tappa « parole “miracolose” nella Bibbia ebraica », come “gedulôt” (in gr. megaleia “cose grandi”) e niphla’ōt (in gr. Thaumasia, “meraviglie del Signore”).
E’ questo il principio teologico che, per esempio, è richiamato anche in un versetto dell’ultimo libro dell’Antico Testamento, il Libro della Sapienza, nel quale leggiamo: “dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore” (Sap 13,5).
Infatti, nella prospettiva biblica ogni manifestazione del creato fa parte del “linguaggio miracoloso” con il quale trova espressione la Provvidenza “ordinaria” di Dio, ed il miracolo è un intervento divino che si colloca nel provvidenziale "piano di azione" mediante il quale, giorno dopo giorno, il Signore manifesta Sé stesso nell'ordinarietà della vita umana, rivelando in ogni cosa la Sua divina presenza.

Però, se la biblica “teologia del miracolo” contemplasse unicamente la Divina provvidenza che regge il corso regolare della natura e che si esprime in ogni aspetto quotidiano, non si potrebbe dar conto degli interventi divini che esulano da tale ordinarietà, com’è il caso dei numerosi miracoli straordinari raccontati nelle pagine dell'Antico Testamento ma anche e soprattutto nei Vangeli, che narrano i "segni" eclatanti operati da Gesù al fine di muovere tante persone alla fede.
E' questo l'orizzonte soprannaturale verso cui si orienta adesso questo nostro viaggio, che sta per addentrarsi nella peculiare concezione neotestamentaria di miracolo.
Grazie a quanto abbiamo fin qui rivisitato, possiamo affrontare questo nuovo scenario teologico sentendoci in sintonia con il principio che è per esempio evidenziato da Agostino di Ippona in un suo commento al miracolo della trasformazione dell’acqua in vino, compiuto da Gesù a Cana:
Agostino osservava infatti che tutti gli anni il Signore compie tale trasformazione nei vigneti, dove l’acqua della pioggia viene trasformata in vino, ma gli esseri umani non l’ammirano perché si ripete ogni anno, e dunque la loro meraviglia si smussa con l’abitudine.
Affinché ciò non accada, e dunque per evitare che questo senso di meraviglia per l'opera di Dio svanisca a causa della sua “ripetitività”, è necessario mantenere viva la consapevolezza dell’ “impronta divina” custodita in ciò che è ordinario, come ci ha ben ricordato la concezione veterotestamentaria di miracolo.
E' questa la prospettiva migliore dalla quale poter osservare anche l’ulteriore Grazia divina che vi si può riconoscere in aggiunta… ovvero la straordinarietà dei “segni” mediante i quali, in certi particolari momenti, il Signore può fare irruzione  in maniera del tutto eccezionale nelle nostre umane esistenze.



Segue: Una finestra sull'evoluzione storica della concezione di miracolo

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